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Nel Nuovo patto sull’asilo e l’immigrazione, gli Stati Membri si preparano ad adottare provvedimenti sempre più securitari

Foto via Pixels/Creative Commons
 

Nel Nuovo patto sull’asilo e l’immigrazione, gli Stati Membri si preparano ad adottare provvedimenti sempre più securitari nei confronti delle persone migranti; nel frattempo nei Cpr, dall’Italia all’Albania, i diritti di base continuano a essere sistematicamente violati.


1. Il nuovo Patto Ue sull’asilo è sempre più securitario

Secondo la presidente del consiglio Giorgia Meloni, i Centri di rimpatrio in Albania funzioneranno in seguito all’approvazione del Nuovo Patto Ue sull’Immigrazione e l’Asilo che - oltre ad entrare in vigore nel giugno 2026 - nei contenuti, risulta ancor più securitario e volto a ulteriori esternalizzazioni.

“Bruxelles ha tracciato i confini in materia di immigrazione: nell'ambito del nuovo "pool di solidarietà" dell'UE, che sarà introdotto come parte del nuovo patto dell'UE su asilo e immigrazione, gli stati di frontiera del sud, come Grecia e Italia, riceveranno maggiori aiuti, mentre paesi come Germania e Polonia potrebbero evitare di accogliere le migranti, almeno fino alla fine del 2026”, scrive il giornalista Gerardo Fortuna su Politico. E ancora: “[...] Il meccanismo prevede sostanzialmente  tre opzioni, calcolate in base al PIL e alla popolazione di ciascuno Stato membro:  ricollocamenti dei migranti, contributi finanziari o sostegno ai paesi terzi [...]”, scrive il giornalista Simone De La Feld su Eu News.

Sui Centri in Albania, piano fino ad oggi bloccato dai giudici italiani e della Corte Ue, la svolta securitaria potrebbe arrivare da uno dei Punti del Patto: “una delle novità previste dal nuovo Patto sulla Migrazione e l'Asilo è la cosiddetta “procedura veloce”. In base a questa, se una persona viene da un Paese considerato sicuro - o che comunque presenta una bassa percentuale di riconoscimento di asilo - la sua domanda va trattata per direttissima, cioè entro tre mesi, e se rifiutata va rimpatriato. Nel mentre va ospitato in centri appositamente adibiti”, riporta Sky News.


2. Verso l’archiviazione per il caso di Moussa Diarra

Il Comitato Verità e Giustizia per Moussa Diarra, il giovane maliano di 26 anni che lo scorso anno è stato ucciso dalla Polizia Ferroviaria di Verona, continua a chiedere che venga fatta luce su un caso in cui vi sono ancora troppe lacune.

“Ad oltre un anno dalla morte di Moussa Diarra le indagini della Procura della Repubblica di Verona non hanno ancora fatto La Procura afferma che “l’indagato ha commesso il fatto costretto dalla necessità di difendersi contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, ponendo in essere una difesa senza alcun dubbio proporzionata all’offesa”, escludendo “su un piano obiettivo” l’accusa di omicidio. Il comunicato aggiunge che “Diarra teneva nella mano destra un coltello da cucina avente una lama seghettata della lunghezza pari a circa 11 centimetri”, muovendosi “con un’aggressività ingiustificata”, riporta Melting Pot Europa. 

Sul caso ha commentato anche la senatrice Ilaria Cucchi: “Perché Procura e Questura dissero che le telecamere avevano ripreso tutto, salvo poi smentirsi pochi giorni dopo? Perché le indagini furono affidate allo stesso corpo a cui appartiene l’indagato – in violazione della CEDU? Perché si può definire “senza alcun dubbio proporzionato” il colpo di pistola sparato a Moussa? C’è un’altra domanda, poi, che in questi giorni non smetto di farmi. Perché le istituzioni trovano sempre il modo di avvisare prima i giornali e non le famiglie? Tante domande. Nessuna risposta. Per questo, un anno dopo l’omicidio, non possiamo tacere”.


3. Detenuti nei Cpr nonostante le fragilità psichiche

Dal Cpr di Milano a quello di Gjadër, in Albania. 

“Prima nove mesi nel Cpr di via Corelli a Milano, poi spostato nella notte nel centro di detenzione per migranti di Gjadër in Albania e ora valutato dalla Commissione vulnerabilità come persona non idonea al trattenimento, e rispedito in Italia [...]. La rete Mai più lager ha raccontato che si tratta di «una persona ex tossicodipendente, già in cura al Serd. Le rare volte in cui siamo riusciti a metterci in contatto con lui abbiamo notato che biascica - imbottito di farmaci - e ci chiede aiuto in lacrime». Secondo la rete il ragazzo palestinese è stato rilasciato tra la serata del 14 novembre e la mattina del 15. Anche lui senza essere preso in carico dai servizi di psichiatrica e senza un posto sicuro in cui alloggiare. Quello che accade alle persone detenute è un cortocircuito di disumanità e illegittimità [...]”, scrive la giornalista Federica Pennelli su Domani. 

E ancora: “per Nicola Cocco, infettivologo e attivista della rete Mai più lager e della Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm), quelle dei due ragazzi rappresentano casi di abbandono sanitario. Sul primo, da poco tornato dall'Albania, dice: Ora è stato probabilmente lasciato per strada, fuori da qualsiasi percorso di tipo terapeutico”.


4. Violenze e respingimenti sui confini Ue

Un nuovo rapporto del Border Violence Monitoring Network (Bvmn) - Illegal pushbacks and border violence reports - evidenzia gravi violazioni dei diritti umani lungo i confini dell’Ue. Questo rapporto raccoglie testimonianze dirette provenienti da diversi paesi (Grecia, Serbia, Bosnia Erzegovina, Francia, Polonia e Turchia) per analizzare il modo in cui gli Stati dell'Unione Europea, oltre a perpetuare violenze nei confronti delle persone migranti, proseguono nella criminalizzazione della solidarietà.

“In Grecia assistiamo all’attuazione della nuova legge draconiana sull'immigrazione approvata questo mese che, tra le altre modifiche, estende la durata della detenzione e i motivi di perseguimento penale delle persone in movimento, rendendo la partenza volontaria l'unica alternativa alla detenzione, in molti casi [...]. La normalizzazione della criminalizzazione della migrazione è alla base del regime migratorio europeo e alimenta le narrazioni securitarie utilizzate per legittimare ulteriori violenze e sorveglianza. Negli ultimi anni abbiamo assistito all'estensione di questa politica di criminalizzazione agli attori che si schierano in solidarietà con le persone in movimento, sotto forma di accuse giudiziarie, vessazioni e intimidazioni, tra le altre azioni [...]”, si legge nel rapporto.

E ancora: “[...] in Francia, riportiamo la notizia dello sgombero su larga scala di uno dei più grandi e visibili insediamenti informali di Calais, l'Orange Squat, e dell'alternativa di alloggio estremamente insufficiente offerta dallo Stato. Inoltre, l'avvio dell'attuazione dell’accordo cosiddetto “One-In-One-Out” tra il Regno Unito e la Francia, nel contesto dell'ascesa del fascismo e del sentimento anti-migranti in Gran Bretagna, [normalizzerà] ulteriormente le violazioni contro le persone in movimento”.


5. Un nuovo naufragio al largo della Libia

Secondo la Mezzaluna Rossa libica, almeno quattro persone sono morte quando due imbarcazioni che trasportavano migranti e richiedenti asilo si sono capovolte al largo della costa libica.

“Si dice che la prima imbarcazione trasportasse 26 persone provenienti dal Bangladesh, quattro delle quali sono morte. La seconda imbarcazione trasportava 69 persone, tra cui due egiziani e decine di sudanesi, ha aggiunto la Mezzaluna Rossa, senza specificare la loro sorte. Otto di loro erano bambini, ha affermato. Al-Khums è una città costiera, situata circa 118 km (73 miglia) a est della capitale Tripoli”, riporta Al Jazeera. E ancora: “Le foto diffuse dalla Mezzaluna Rossa libica mostrano una fila di corpi in sacchi di plastica neri stesi sul pavimento, mentre si vedono i volontari prestare i primi soccorsi ai sopravvissuti. Altre foto mostrano le persone salvate avvolte in coperte termiche e sedute sul pavimento. La dichiarazione ha aggiunto che la guardia costiera e l'Agenzia per la sicurezza portuale di Al-Khums hanno partecipato all'operazione di salvataggio. Ha aggiunto che i corpi sono stati consegnati alle autorità competenti in base alle istruzioni della procura cittadina”.


6. La tragica realtà dei rifugiati e delle rifugiate siriane

Quasi sei mesi dopo la conclusione di un accordo che avrebbe consentito a migliaia di persone siriane di lasciare il famigerato campo di detenzione di al-Hol, in una zona controllata dalle autorità curde, e di tornare alle proprie case nel territorio controllato dal governo, solo poche centinaia di persone lo hanno fatto.

“Nel 2019, al culmine della sua attività, verso la fine della lotta contro il cosiddetto Stato Islamico, al-Hol ospitava circa 74.000 persone, tra sostenitori e vittime del gruppo. Le autorità curde, che controllano una vasta area della Siria nord-orientale,  tra cui al-Hol, hanno consentito alle persone di tornare nel loro territorio dalla fine del 2020, previo superamento di varie autorizzazioni di sicurezza, e circa 12.000 persone sono tornate”, riportano la giornalista Hanna Davis e il fotoreporter Sandro Basili sul New Humanitarian. E ancora: “Un nuovo accordo annunciato a fine maggio tra il governo di transizione siriano e le autorità curde ha introdotto un "meccanismo congiunto" per consentire a un maggior numero di famiglie siriane di lasciare il campo per raggiungere la maggior parte del paese che ora controllano, dopo la cacciata del presidente Bashar al-Assad nel dicembre 2024”.

Infine: “Le richieste di ridurre il numero di campi profughi di al-Hol si sono fatte più insistenti dopo il taglio del  sostegno critico statunitense all'inizio del 2025, combinato con i cambiamenti politici successivi alla caduta di al-Assad. A febbraio, l'amministrazione curda nel nord-est della Siria ha annunciato l'obiettivo di  svuotare i campi profughi da iracheni e siriani entro la fine del 2025”.

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