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Legati e deportati in Albania


Foto via X/SeaWatch
 

La nave Libra è ripartita per deportare circa 40 persone migranti dai Cpr italiani a quelli in Albania; nel frattempo l’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue ribadisce le criticità del protocollo in questione. In Tunisia ancora sgomberi e violenze ai danni delle persone migranti subsahariane.


1. Riprendono le deportazioni in Albania

Circa 40 persone migranti sono state deportate nei centri di detenzione in Albania direttamente dai Cpr italiani.

“[...] Scudi in mano e caschi al lato, in assetto anti-sommossa. Altri 80 [forze dell’ordine] erano a bordo. I cittadini stranieri sono stati fatti scendere con le fascette ai polsi, un agente davanti, uno accanto e uno dietro con una sacca in mano, contenente forse gli oggetti personali del trattenuto”, scrive il giornalista Giansandro Merli su Il Manifesto. E ancora: “Abbiamo visto nitidamente le persone con i polsi giunti legati e scortati avanti e indietro dalle forze di polizia. È stata un’immagine molto forte che ci ha molto scossi, racconta Francesco Ferri di Action Aid [...]. Per le autorità italiane tutelerebbe la loro incolumità, ma la pratica di ammanettare le persone in detenzione amministrativa è stata criticata anche dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura, nell’ultimo rapporto sull’Italia [...]. Non si sa nulla di queste persone. Il ministero dell’Interno non ha infatti fornito informazioni né dettagli sulle modalità di selezione, sui paesi di origine né sui Cpr da cui sono stati prelevati questi 40 uomini”, scrivono la giornalista Marika Ikonomu e il giornalista Valerio Nicolosi su Domani.

Sul posto anche l’europarlamentare Cecilia Strada che esprime preoccupazione per l’assenza di trasparenza del governo italiano in merito: “ci sono già stati tre casi di autolesionismo. La sera in cui sono arrivati è stata spaccata una finestra [...]. Nessuna delle persone con cui abbiamo parlato finora è stata informata del trasferimento in Albania [...]. Si sono accorti quando sono arrivati al porto e li hanno fatti salire”. Inoltre, Strada aggiunge che i deportati non hanno fatto in tempo a contattare i propri avvocati.


2. Ancora criticità sul protocollo Italia-Albania

Nel frattempo, sulla legittimità della designazione di “paesi sicuri”, questione strettamente legata anche alla natura stessa del protocollo Italia-Albania - legittimato, secondo il governo, dalla “necessità” di deportare persone provenienti da paesi considerati “sicuri” per l’appunto - si è espresso l’avvocato generale della Corte di Giustizia Ue.

“Nel designare Paesi d’origine sicuri, non basta un atto legislativo. Serve rivelare, ai fini del controllo giurisdizionale, le fonti su cui si basa la convinzione che tali Paesi lo siano davvero. È il sacrosanto principio evidenziato dall’avvocato generale della Corte di Giustizia dell’Unione europea, Richard de la Tour, su cui si baserà la decisione del tribunale a cui la magistratura romana, lo scorso novembre, ha chiesto chiarimenti nell’ambito dell’applicazione del controverso protocollo Italia-Albania”, scrive il giornalista Simone de la Feld su Eu News. 

E ancora: “Nelle conclusioni pubblicate [...] da de la Tour, il cui compito consiste nel proporre alla Corte con sede a Lussemburgo una soluzione giuridica nella causa, la conferma della buona fede delle ‘toghe rosse’ romane: il giudice nazionale che esamina un ricorso contro il rigetto di una domanda di protezione internazionale deve, nell’esaminare la legittimità di tale atto, disporre delle fonti di informazione su cui si basa tale designazione”.


3. Tunisia, tra sgomberi e violenze sistematiche

Le autorità tunisine sgomberano e attaccano violentemente le persone migranti subsahariane nei campi profughi.

“Le autorità tunisine hanno iniziato a smantellare decine di campi improvvisati che ospitano migranti africani, nel quadro di un'operazione a tappeto per liberare le aree lungo la costa del Mediterraneo e allentare le tensioni con i residenti locali [...] Con le autorità che si preparavano a smantellare i campi, sono riemersi i timori di espulsioni forzate e di trasferimenti in autobus verso le zone di confine desertiche della Tunisia, come già avvenuto a più riprese negli scorsi anni. La scorsa settimana diversi video e messaggi sono diventati virali nei gruppi di social media dove i migranti cercano regolarmente informazioni, esortando le persone a non fidarsi delle autorità tunisine o dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni”, riporta il giornalista Gavin Blackburn su Euronews.

E ancora: “a questo si aggiunge la retorica ostile e discriminatoria adottata dal presidente Saied, che da anni cerca di scaricare i problemi economici della Tunisia proprio sui migranti, e istiga indirettamente aggressioni razziste. È anche noto che le autorità tunisine abbandonino i migranti in una zona desertica al confine con la Libia, e che sia attivo un sistema di vendita di persone migranti tra i due paesi gestito da agenti e militari e quindi dai due governi”, si legge su Il Post.


4. Le testimonianze dei medici di Lampedusa

A rotazione, i medici specializzandi in malattie infettive e tropicali dell'università degli studi di Bari “Aldo Moro” sono impegnati nella vigilanza sanitaria transfrontaliera durante gli attracchi delle persone migranti.

“La dottoressa Mariangela Cormio è rientrata da Lampedusa il mese scorso. Era la sua quarta volta. Ognuno di noi è consapevole che ci sono persone che si mettono in mare e rischiano la vita per arrivare in Italia. Ma solo quando sei lì, capisci che è una storia che potrebbe essere anche la tua. Ha 39 anni, con la memoria ripercorre prima i ricordi più felici. Il suono di un “grazie” in inglese da parte di una bambina solo perché le avevo chiesto come potevo aiutarla. E poi altri bimbi in condizioni considerate ad alto rischio che però, grazie alle cure, si normalizzavano. O una donna sieropositiva che ha trovato il coraggio di confidarsi con lei, intuendo che a quella dottoressa estranea poteva dire tutto. Poi ci sono quelli che non ce l’hanno fatta, spesso molto giovani. Ha vissuto anche gli sbarchi del settembre di due anni fa. Circa 10mila persone in pochi giorni, senti tutto il peso dell’impotenza”, riporta la giornalista Valeria D’Autilia su La Stampa.

E ancora: “gli specializzandi coinvolti nel progetto fanno soprattutto screening. Sono attività assistenziali sotto tutoraggio, grazie alla collaborazione con l’ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera. Molti arrivano con ustioni, segni di disidratazione, malattie della pelle o problematiche legate all’insolazione durante la lunga traversata. È proprio sul molo che viene fatta una anamnesi rapida, in modo da individuare chi necessita di un intervento immediato”.


5. La deterrenza Trump contro le persone migranti

Le politiche intransigenti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump hanno bloccato decine di migliaia di persone richiedenti asilo e migranti in Messico. Con poche opzioni, molti di loro hanno fatto ricorso alla richiesta di protezione sul posto. Ma le politiche di Trump – compresi i tagli agli aiuti esteri – potrebbero ora spingere il sistema di asilo messicano, già sovraccarico, fino al collasso.

“Gran parte dei finanziamenti per aiutare il Messico a far fronte all'aumento dei numeri proviene dagli Stati Uniti, convogliati tramite l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, l'Unhcr. L'agenzia ha ricevuto oltre 163 milioni di dollari dagli Stati Uniti tra il 2017 e il 2023 per le sue operazioni in Messico. Tra il 2019 e il 2023, il contributo dell'Unhcr al bilancio del Comar (Commissione Messicana per l'Assistenza ai Rifugiati) è stato più del doppio di quanto versato dal governo messicano”, scrive la giornalista Stephania Corpi Arnaud sul New Humanitarian. “A corto di fondi, non è chiaro se il sistema di asilo messicano sarà in grado di elaborare le richieste e fornire un minimo di supporto a coloro che rimarranno bloccati [...]. 

Infine: “secondo Amnesty International, le azioni intraprese dall'amministrazione Trump da quando è entrata in carica a gennaio hanno di fatto posto fine all'accesso all'asilo al confine tra Stati Uniti e Messico, violando sia gli obblighi giuridici degli Stati Uniti sia quelli internazionali. Tuttavia, l'attuale arretrato burocratico presso la Comar, la crisi di finanziamenti provocata da Trump, le carenze dei programmi di integrazione in Messico e l'incessante fattore di attrazione degli Stati Uniti sollevano interrogativi sul fatto che il Messico possa – o voglia – offrire un'alternativa valida per coloro che sono rimasti nel limbo [...]”.


6. I nostri nuovi articoli su Open Migration

Da qualche tempo l'ambasciata italiana a Tehran respinge alcune domande per il ricongiungimento familiare giustificando la cosa con l'assenza di parte della documentazione. Tuttavia, in un paese come l'Iran, rivolgersi alle autorità per richiedere alcuni documenti è pericoloso, soprattutto per coloro che sono visti come oppositori del regime. Per questo dovrebbero essere le autorità consolari italiane a fare parte di questo lavoro di recupero della documentazione. Ce ne parla Patrizio Gonnella.



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